Riprendiamo un articolo pubblicato qualche tempo fa a proposito dell’acciaio. Considerazioni che hanno quasi un anno e, oggi, ritroviamo ancora più forti. Perché quella dell’acciaio non è più una moda o una tendenza verso una riscoperta vintage, è una vera e propria realtà di materiale utile per costruire biciclette di un certo tipo. Non un ripiego o un capriccio, ma una vera e propria scelta ponderata con motivi precisi.
Negli anni Novanta, agli esordi dell’alluminio nel ciclismo e ancora piuttosto lontani dal carbonio così come lo conosciamo noi, i telaisti italiani scommettevano sulla tendenza passeggera. Si tornerà all’acciaio prima o poi. Non avevano fatto i conti con una tecnologia che sarebbe cresciuta accelerando sempre di più. Soprattutto non avevano considerato le possibilità della fibra di carbonio che ha segnato un punto di non ritorno verso un’evoluzione tecnologica che ha avuto moltissimi sviluppi.
Invece l’acciaio sta tornando. Non come era stato preventivato venti anni fa. Non è l’acciaio che troveremo nelle competizioni dei professionisti, ma quello che strizza l’occhio agli appassionati della “bicicletta definitiva”. Quella che pure se non ha le prestazioni del telaio in carbonio, gode però dei pregi dell’acciaio, delle personalizzazioni e di quel tintinnare del materiale che sa di musica per gli appassionati al posto del rumore secco del composito.
Qualche tempo fa ci è capitata una cosa curiosa. Siamo stati alla presentazione della gamma Wilier Triestina 2016 e, in mezzo ai gioielli in composito, è stata presentata anche la bicicletta in acciaio. Quella con la W sulla testa piatta e cromata della forcella. Soprattutto quella del mitico color ramato che ha fatto la storia e i sogni di tanti appassionati. Quell’articolo, inserito tra le curiosità, ha avuto un effetto dirompente che, ammettiamo, non ci saremmo aspettati: più di duemila visualizzazioni in meno di un’ora, poi il tam tam della rete lo ha fatto esplodere ancora di più durante la giornata. Foto che girano tra appassionati non solo di vintage.
Insomma, la prova che l’acciaio ha tanto da dire e, soprattutto, che le nostre aziende hanno una storia che è apprezzata in Italia e diventa culto all’estero.
>> La “nuova” Wilier Triestina color ramato
Quanti marchi seguiranno l’esempio di Wilier allora? Ad essere lungimiranti, e a crederci davvero, potrebbe essere la nuova frontiera del loro marketing: guardiamo alle origini per presentarvi il meglio anche dei telai moderni. E di nomi in grado di attirare molti consensi ce ne sono diversi. De Rosa è già da qualche anno che presenta i suoi telai in acciaio, altri sono dietro, più timidamente. Colnago ha il suo sempreverde Master, Bianchi la fantomatica bicicletta Eroica (di cui è sponsor già da qualche anno e continua a ritardarne la presentazione), e senza dover nemmeno citare una bandiera italiana come Pegoretti che ha saputo unire il fascino dell’acciaio al gusto della moda (fa il telaista, ma avrebbe potuto fare lo stilista con altrettanto successo). Poi gli inossidabili Pogliaghi, Casati, Tommasini, Daccordi, Gios e tutti quei piccoli artigiani che proseguono da anni oppure esordiscono sul mercato a dire la loro avendo pure risposte confortanti dal pubblico (soprattutto all’estero). Un altro marchio, Legnano, sembra pronto a rilanciarsi nell’acciaio dopo l’acquisizione (già da qualche anno a dire il vero) da parte del gruppo Esperia.
Ma c’è da segnalare anche il ritorno di Battaglin (che ha già tutta la linea produttiva perfettamente pronta, e novità come T°Red e tutta una serie di artigiani che trovano sempre più spazio sul mercato.
Per gli scettici (e i più giovani) si potrebbe provare a pedalare un po’ sull’acciaio moderno (anche quello inox, perché no) e magari scoprirne caratteristiche interessanti. A cominciare dalle forcelle personalizzate nella misura del rake in base alla taglia del telaio. Come una volta, che il senso, tutto sommato, c’era pure.
E c’erano anche le particolarità di lavorazione.
Occhio al prezzo
C’erano quei dettagli che facevano “perder tanto tempo” in fase di lavorazione facendo lievitare il prezzo finale del telaio. Come adesso d’altra parte, per cui non ci stupiamo se un telaio di ottima fattura possa costare quanto un top di gamma in carbonio. Sarebbe anche un errore stupirsene. Perché dovrebbe costare meno se l’impegno lavorativo è elevato come quello?
Vero, si parla di cose diverse. Con la fibra di carbonio il costo è più progettuale e di preparazione della linea produttiva (che è dispendiosa se non ci si accontenta di un telaio qualsiasi già pronto ma lo si vuole con proprie specifiche di forma e tipologia di carbonio.
Poi, è vero, il costo del singolo telaio può essere sì inferiore, ma sarebbe un errore non considerare il resto e generalizzare tutto dicendo che i margini di ricarico sono eccessivi. Certo che non vanno in perdita i costruttori, ma occorre fare anche un’analisi onesta per tutti.
Redazione Cyclinside