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Mr. Ochowicz e il ciclismo da selezionare. Sicuri che sia la strada giusta?

26 mag 2015

Il general manager del Team Bmc, Jim Ochowicz, ha recentemente dichiarato che, a suo parere, il problema delle tante cadute disastrose nelle gare World Tour sia causato dalla scarsa professionalità dei piccoli team che vengono invitati a queste corse.

Secondo quanto riporta il sito Velonews, Ochowicz chiede maggiore attenzione nell'analisi dei team da invitare nelle corse importanti, basandosi su parametri di qualità e performance.
Crede, prosegue nelle dichiarazioni, che ci sia una relazione tra le cadute e la presenza di team invitati senza reale selezione di merito, ma solo politica.
Tra le motivazioni riportate da Ochowicz c'è il fatto che i top team hanno come partner grandi industrie del settore che forniscono gli equipaggiamenti migliori con staff che permettono una migliore ricognizione delle corse.

Questa miscela di fattori, equipaggiamento inferiore, minore abitudine al confronto ad alto livello e l'aumento di corridori dovuto alla presenza di questi team, è una delle cause, secondo il manager americano, delle cadute che si vedono nelle corse importanti.
«Un passo avanti nel ridurre il rischio di cadute – si legge ancora secondo le dichiarazioni riportate da Velonews – sarebbe diminuire la dimensione del gruppo dei corridori, e l'UCI deve ridurre il numero delle squadre in corsa. Non è possibile, invece, ridurre il numero dei corridori per squadra perché potrebbe essere un problema portare a termine un grande giro».

Queste dichiarazioni, se da una parte sono comprensibili (è storia del ciclismo che nelle prime tappe di Giro e Tour le cadute siano parecchie anche per la quantità di corridori che vogliono contendersi la vittoria nelle prime frazioni), dall'altra ci lasciano piuttosto perplessi.

È vero che già Francesco Moser a volte si lamentava della presenza di corridori giovani e troppo temerari nei finali di certe tappe. Non si tratta, però, di corridori inesperti, visto che per arrivare al professionismo ci sono comunque tanti anni di corse nelle varie categorie ed è difficile immaginare un corridore professionista senza esperienza di questo tipo. Poi ci sono abilità diverse (ma avreste lasciato a casa un Zulle o alcuni colombiani degli anni Novanta?) che non hanno molto a che fare con l'esperienza quanto con le capacità individuali.

Sui materiali la cosa fa anche un po' sorridere a dire il vero. Abbiamo notato anche noi, nelle gare di inizio stagione, come alcuni team minori non abbiano dotazioni sempre al top della gamma (diversi corridori in gruppo corrono con componenti Shimano Ultegra, per dirne una, così come non tutti hanno i telai top di gamma delle aziende), ma da qui a dire che questa può essere una causa di cadute ce ne passa e, permetteteci, fa anche un po' preoccupare.

Dei componenti meno performanti non sono più pericolosi, al massimo saranno più pesanti, ma l'idea che un corridore prenda il via con una bicicletta poco sicura è abbastanza ridicola e alquanto pericolosa per il mercato (torniamo a parlare di marketing?). Sarebbe come immaginare che una BMC di media gamma sia meno sicura di una top di gamma. Scherziamo?
Oppure vogliamo dire che un piccolo artigiano non sia in grado di realizzare una bicicletta di alta gamma in grado di sopportare gli stress di una gara professionistica di alto livello?
E su cosa hanno pedalato fino ad oggi molti campioni? A cosa tendono anche tanti Americani che guardano alle bici italiane (soprattutto quelle dei piccoli artigiani) come a un sogno da realizzare prima o poi?

Al di là delle chiacchiere, a lasciare perplessi è anche la tendenza che hanno i top team a creare un ciclismo di élite che rischia di staccarsi dal mondo reale e tradizionale di questo sport che, ricordiamo, ne è la forza e il fascino. Seguire le indicazioni del manager americano si tradurrebbe nel creare una scala di valori dipendente in maniera preponderante dai budget. È già così, in parte, e sappiamo quanta fatica facciano tanti team minori che pure si difendono bene e ottengono risultati anche importanti.
Spesso abbiamo paragonato alcune soluzioni alla Formula Uno, ma siamo certi che un ciclismo di questo tipo perderebbe molto del suo fascino e popolarità. Se la sente, Mr. Ochowicz, di rischiare?

Guido P. Rubino